L'OLIVO E LE SUE ORIGINI

"Omnis tamen arboris cultus simplicior quam vinearum est longeque ex omnibus stirpibus minorem inpensam desiderat olea, quae prima omnium arborum est" (De Re Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella libro V/8-1-3)

"La coltivazione di qualunque albero, per dire il vero, è più semplice di quella della vite, e fra tutte le piante l'olivo è quello che richiede spesa minore, mentre tiene tra esse il primo posto".

Al di là di queste classiche evocazioni si è molto scritto sull'utilità e l'importanza della coltivazione dell'olivo nelle zone che si affacciano sul Mediterraneo.

Se Columella, nato a Cadice (Spagna) e vissuto nel I secolo d.C., ha scientificamente descritto i problemi che riguardano il comparto agro-zootecnico, altri celebri autori si sono soffermati su questo tema trattando con un certo interesse proprio l'arte di coltivare l'olivo e di produrre olio.

Varrone, colto studioso Sabino, pur soffermandosi sulla coltivazione dell'olivo e sulla corretta pratica di ottenere olio dai suoi frutti, non accenna in modo determinato e chiaro alla situazione olivicola della sua terra Sabina.

Una dimenticanza, una distrazione o un atto di umiltà innata nel carattere di questo saggio studioso cresciuto all'ombra della cultura romana?

Nel suo "De Re Rustica", una delle sue settanta opere, considerata dagli studiosi varroniani un po' troppo voluminosa, astrusa e difficile l'autore sabino, ritenuto uno dei tre grandi della letteratura latina insieme a Cicerone e Virgilio, si lascia andare ad una trattazione tecnicistica sulla raccolta delle olive e sull'estrazione dell'olio dalla drupa.


"....De oliveto oleam, quam manu tangere possis e terra ac scalis, legere oportet potius quam quatere, quod ea quae vapulavit, marcescit nec dat tantum olei.

Quae manu stricta, melior ea quae digitis nudis [laudabilior], quam illa quae cum digitabulis, durities enim eorum quod non solum stringit bacam, sed etiam ramos glubit ac relinquít ad gelicidium retectos.

Quae manu tangi non poterunt, ita quati debent, ut barundine potius quam pertica feriantur: gravior enim plaga medicum quaerit.

Qui quatiet, ne adversam caedat.

Saepe enim Ma percussa olea secum defert de ramulo plantam, quofactofructum amittunt posteri anni.

Nec baec non minima causa, quod oliveta dicant alternis annis non ferre fructus aut non aeque magnos.

Olea ut uva per idem bivium redit in villam, alia ad cibum [ledatur], alia ut eliquescat ac non solum, corpus intus unguat sed etiam extrinsecus.

Itaque dominum in balneas et guminasium sequitur.

Haec de qua fit oleum, congeri solet acervatim (in.) dies singulos in tabulata, ut ibi mediocriter fracescat ac primus quisque acervos demittatur per serias ad vasa olearia ac trapetas, quae res molae oleariae ex duro et aspero lapide.

Olea lecta si nimium diu fuit in acervis, caldore fracescit et oleum foetidum fit.

Itaque si nequeas mature conficere, in acervis iactando ventilare oportet. Ex olea fructus duplex, oleum, quod omnibus notum, et amurca, cuius utilitatem quod ignorant plerique, licet videre e torculis oleariis fluere in agros ac non solum denigrare terram, sed multitudine facere sterilem; cum is umor modicus cum ad multas res tum ad agri culturam pertineat vebementer, quod circum arborum radices infundi solet, maxime ad oleam, et ubicumque in agro berba nocet....."
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"....Quanto all'oliveto, quelle olive che tu puoi raggiungere con le mani da terra o per mezzo di scale, è meglio coglierle che bacchiarle, perché quelle che sono spiccate con le mani migliori son quelle colte piuttosto con le dita nude che non chiuse nei ditali.

Infatti a causa della loro durezza non solo rimangono ammaccate le bacche, ma anche si scortecciano i rami e vengono lasciati scoperti ed esposti alle gelate.

Le olive che non potranno essere raggiunte con le mani debbono essere battute piuttosto con canne che con pertiche, perché una ferita troppo profonda può esigere l'intervento del medico.

Chi batterà, non batta di fronte; spesso infatti le olive battute così trascinano appresso dei ramoscelli, dal che deriva la sterilità delle piante per l'anno successivo.

E questo non è l'ultimo motivo per cui - come dicono - gli oliveti un anno sì e un anno no non producono frutti, o per lo meno non li producono di eguale grossezza. Le olive danno alla villa lo stesso duplice ricavato dell'uva, quello del cibo e quello dell'olio, e non solo per lubrificare il corpo all'interno, ma anche per ungerlo all'esterno.

Pertanto esso va dietro al padrone e quando si reca al bagno e quando si reca alla palestra.

Le olive con cui si fa l'olio si ammucchiano giorno per giorno sopra un tavolato, per farle qui ammollire un tantino e per portar di qui al frantoio in giare e in vasi oleari ciascun mucchio nello stesso ordine in cui è stato deposto.

Il frantoio è costituito da una mola olearia di pietra dura e dalla superficie rugosa.

Se le olive, dopo essere state colte, troppo a lungo rimangono nei mucchi, infradiciscono per il calore e l'olio diventa rancido. Pertanto se tu non puoi frangerle per tempo bisogna rivoltarle e ventilarle nei mucchi. Due sono i prodotti che si ricavano dalla spremitura delle olive: l'olio, che tutti conosciamo, e la morchia. La sua utilità è sconosciuta ai più, e così è possibile vedere che essa si lascia scorrere dai torchi oleari sui campi e che non solo annerisce la terra, ma quando è in grande quantità la rende sterile.

Se invece essa è adoperata moderatamente, è assai utile per molte cose e soprattutto in agricoltura, poiché si suole spargere intorno alle radici degli alberi, soprattutto agli olivi e dovunque nel campo crescono le erbe nocive.....".

Varrone lascia trasparire il tentativo di essere oltre che maestro di "lingua latina" anche maestro di olive e di olio ma si intuisce che questa per lui è materia "facoltativa" poiché nella sua opera le dissertazioni sono poche e non certamente tecniche e approfondite come quelle di Columella.

Gli siamo grati perché specifica nel suo "Da Lingua Latina" (V- 108) l'origine della parola "olea" (oliva) che viene dal greco "elaia" - e continua - l'Orchitis è una specie di oliva grande, detta così perché gli Attici la chiamano "orchis moria".

Con sicurezza giudica l'olio di Venafro il migliore del mondo: (De Re Rustica 1-2/6) "Al contrario in Italia cosa v'ha di utile che non solo non nasca ma non venga anche bene? Quale, olio (si potrebbe paragonare) a quello di Venafro?"

Interessante il suo riferimento sulle origini leggendarie della pianta d'olivo: ".....Così è nato l'uso di sacrificare i caproni al padre Libero, inventore della vite, quasi a pagar la pena con la vita; così è nato l'uso, al contrario, di non immolare alcun capo caprino a Minerva a causa dell'olivo, che addentato da questo animale dicono che divenga infecondo - la sua saliva, infatti, è un veleno per il frutto di questa pianta.

Per tale motivo anche in Atene non si conduce la capra sulla rocca se non una sola volta, per la necessità di sacrificarla, affinché l'albero dell'olivo, che si vuole nato per la prima volta là, non possa essere, da lei toccato....".

In seguito cercheremo di leggere ancora Varrone, Plinio, Columella e Virgilio, per chiarire il mistero della presenza in Italia e specie nel Lazio dell'olivo prima dell'era cristiana.